ROMA - La realtà virtuale a servizio della riabilitazione. Sembra fantascienza, ma lo è solo in apparenza. Perché in un futuro non troppo lontano anche una persona con ridotta o nessuna capacità motoria potrebbe bere un bicchiere d'acqua senza dover ringraziare nessuno, se non un robot alter-ego che esegue i comandi del suo cervello, senza neppure il bisogno di un battito di ciglia. È a questo ambizioso progetto che sta lavorando il gruppo diretto dal professor Salvatore Maria Aglioti, presso la Fondazione Santa Lucia di Roma, una di quelle eccellenze italiane all'avanguardia nella ricerca e nella riabilitazione delle persone che hanno subito lesioni spinali. La sperimentazione condotta all'interno del laboratorio di Neuroscienze sociali e cognitive attivato dalla Fondazione Santa Lucia in collaborazione con l'Università La Sapienza di Roma fa parte del progetto europeo Vere (Virtual Embodiment and Robotic Re-Embodiment): attraverso una Camera di realtà virtuale immersiva i ricercatori lavorano affinché individui con deficit legati a lesioni spinali possano gestire un avatar mediante l'attività del proprio cervello.
"Insieme al Collegio Sant'Anna di Pisa abbiamo costruito un 'cave' dove studiare tutte le sensazioni visive e somatiche che portano alla possibilità di immedesimarsi in un avatar e - successivamente - un robot", racconta Aglioti, che è professore di Psicologia e neuroscienze sociali presso La Sapienza e ricercatore della Fondazione Santa Lucia. Fino ad ora la sperimentazione ha coinvolto circa 20 persone, tra cui alcune con lesioni alla parte alta del midollo spinale, e quindi impossibilitate a muovere le gambe e le braccia. "Le persone si immergono nella realtà virtuale, immedesimandosi in un personaggio che provano a muovere attraverso la sola attività cerebrale - prosegue il ricercatore -. Oggi imparano a muovere un avatar ma la speranza è che, alla fine del percorso, il personaggio virtuale verrà sostituito da un robot".
Un assistente personale, appunto, che potrebbe prendere un bicchiere d'acqua, accendere il televisore o scacciare una mosca in luogo di un uomo o di una donna da cui verrà diretto con il solo atto del pensiero. Insomma, l'obiettivo futuribile è quello di arrivare a usare l'attività cerebrale per sopperire a gravi problemi di mobilità. Un progetto di "assoluta avanguardia" lo definisce il ricercatore, anche perché basato su una "tecnologia non invasiva", che non usa elettrodi, ma la sola forza del pensiero. Insomma, un'utopia che potrebbe diventare realtà a patto - naturalmente - che la ricerca venga sostenuta e finanziata. Ma anche un campo di applicazione della realtà virtuale a dir poco sterminato: si va dal contrasto alla violenza sulle donne mediante l'immedesimazione dello stupratore nell'oggetto dello stupro al "giornalismo immersivo", che consente soprattutto ai reporter diretti in zone di guerra di testare in anticipo, e in ambiente virtuale, le proprie reazioni di fronte ai pericoli. "Ma sono solo alcuni esempi - conclude Aglioti -. Perché l'uso della realtà virtuale immersiva presenta davvero un ventaglio incredibile di possibilità". (ap)